sabato 1 dicembre 2007

Biografia dell'autore
Salvino Martinciglio nasce a Mazara del Vallo in provincia di Trapani il 28/11/1979, consegue la maturità tecnica nel 1998. Poco dopo intraprende la carriera militare come volontario nel gruppo elicotteristico della marina militare, rivestendo il ruolo di attrezzista su elicotteri SH3D nella base di Luni Sarzana (SP). In questi anni si appassiona alla letteratura ed in particolare alla poesia, dove predilige autori del calibro di C.Baudelaire , S. Mallarmè, P. Verlaine, Rimbaud e T. Corbier, le opere di questi artisti segneranno indissolubilmente la sua produzione letteraria. Nel 2004 pubblica la sua prima silloge dal titolo “Dies Irae”, quest’opera è pregna delle ambientazioni simboliste e la poesia rispecchia molte delle soluzioni adottate dai destrutturatori del verso, anche se egli riesce lodevolmente a forgiare (con qualche macchinoso sistema compositivo) nuove forme, che trovano perfetta simbiosi nel costrutto poetico. Negli stessi anni, permane per sei mesi dell’isola della Maddalena, dove l’isolamento gli permette di legge una quantità considerevole di testi inerenti alla filosofia classica e continuerà inesorabilmente nello studio della poesia in tutte le sue forme, con un accanimento quasi maniacale. Consecutivamente nel suo progresso militare viene imbarcato sul pattugliatore d’altura Cassiopea, impegnato nelle operazioni di controllo dei flussi migratori sul mar mediterraneo. Questo è un periodo molto duro e sofferto per Martinciglio, ma nel contempo molto produttivo in ambito letterario, l’isolamento per le vie di mare lo porteranno alla concezione di nuove forme poetiche nichiliste e di estraniazione dal mondo letterario contemporaneo (che per certi versi egli non rispecchia). Ma l’autore non riesce dopo sei anni a vivere in quell’isolamento, dove la totale assenza di vita (percepita) negli specchi del mare opprimono la sua genialità e talvolta la volontà di proseguire il cammino della vita, che sente venir meno. Qui consegue l’ulteriore periodo di isolamento nella medesima isola della Maddalena, tempo che questa volta il poeta riesce a sfruttare in modo positivo per la produzione poetica. In seguito trasferito sull’incrociatore Scirocco nella città di La Spezia gli dà l’incipit per abbandonare l’oneroso compito che assolve in quel faticoso lavoro e il mal di vivere che ne scaturisce lo portano ad abbandonare la carriera militare, con consecutiva assunzione nel ruolo di docente presso gli istituti superiori della provincia di Brescia. Fin dal 2000, Martinciglio, accosta agli studi sulla poesia e la letteratura un interesse per le arti esoteriche e in particolare con la demonologia, l’assimilazioni di questi temi vengono caratterizzati da un approccio fortemente ateista, che, non condizioneranno l’autore ad invischiarsi in settarismi religiosi, anzi, accentueranno il suo lato critico e di esclusivismo culturale nei confronti delle credenze esoteriche e dell’occultismo, ciò che interessa a Martinciglio sono i rapporti di scambio (ormai dettati dall’inconscio) tra l’uomo e le sue cavillose inclinazioni ai culti religiosi, che lo sostentano nella vita. L’ateismo di Martinciglio è sorretto da una impronta marchiata a fuoco che porta il nome di F.W.Nietzsche, filosofo che egli cominciò a studiare sin dall’adolescenza e che lo stesso sostituirà a figura paternale e guida nel proseguo della vita, facendolo indissolubilmente suo, tanto da diventarne letteralmente figlio legittimo. Nel 2005 a meno di un anno dalla sua prima pubblicazione, gli arriva la proposta di partecipare ad una antologia di poeti contemporanei, (proposta che Martinciglio non rifiutò certamente), anche se il contatto con i suoi contemporanei suscita in lui un profondo disprezzo, dettato dalla mediocrità della forma e dalle soluzioni adottate, fondamentalmente Martinciglio non riesce a concepire la poesia come un passatempo per agiati, ma vuol renderla una sorta di manifesto per risvegliare gli animi, motore che non vide nei suoi coevi colleghi. Durante il periodo bresciano, egli approfondisce lo studio dei poeti surrealisti, seguendo un cammino quasi dovuto, un destino prefissato, egli non può far a meno di rimanere invaghito dalle opere nelle sfere surrealiste di Andrè Breton, R. Daumal, P. Eluard e Antonin Artaud, autore proprio quest’ultimo che permeerà affondo in Martinciglio, facendo rivivere con la sua poesia i temi del teatro della crudeltà. Nel 2006 l’autore viene contattato dalla testata giornalistica “Il Mattino di Padova”, la quale gli chiede collaborazione per le cronache aventi matrici esoteriche. Il 2007 vede protagonista l’autore della pubblicazione della seconda silloge “Janua Inferi”, qui l’opera di Martinciglio si veste interamente di nero, in parte frutto del crescente nichilismo, in parte delle continue sperimentazioni fisiche e “non” del suo animo, terso di ogni fantasticheria metafisica. Un opera che si fa scherno di tutto ciò che è celeste, tramite assunzione di schernitori infernali (o ciò che essi rappresentano), Martinciglio cartesiano in tutto il suo essere poeta, a tal proposito suonano a tono le parole del Dott. G. Bonagiuso, che definisce la poesia di Martinciglio “Un nulla serio”. Nel Giugno dello stesso anno egli prende contatto con l’editoriale pagine, dove comincia il suo primo approccio con la grande editoria e in particolare con la rivista “Poeti e Poesia” di E. Pecora. Nel Novembre Martinciglio viene convocato come membro della giuria al concorso letterario “Parlano i Sensi” indetto nella provincia di Brescia. Al momento l’autore è impegnato nella stesura di “ La Via del mago” un poema onirico con delle litografie a fronte e nel consecutivo romanzo “La Fattucchiera”(titolo provvisorio).
Dies Irae

Se il pubblico e la critica non si dimostreranno come bieche meretrici prone a mercificare il proprio consenso a pallida figuranti mandati dai noti e mendaci salotti commerciali, è lecito donare con animo candido al Martinciglio una meritata vetrina di personalità ed originalità che risiede nella visione stessa dell'io artistico. Il Nostro artista rende il poeta alla stregua di una figura eterea ed angelica, fiori dal tempo e dallo spazio (Venezia, a tal proposito, nasce tra i suoi vicoli magici e solitari), estraniato, distaccato dalla vita (e quindi essere superiore che mira e giudica, ma, come avviene mentre si sogna, senza i compromessi e le inibizioni delle umane genti) per poterla decantare. Indispensabile, ai fini di codesta nota (come il Gentile Lettore avrà a chiarire poco più avanti).Alla maniera dello scrittore americano H. P. Lovecraft, il Martinciglio discerne inconsapevolmente due diverse realtà sensoriali, quella del poeta e quella dell'uomo comune che sconosce la realtà del mondo e dell'universo intorno lui. I mezzi di cui disponiamo per ricevere le impressioni sono assurdamente scarsi e le nostre cognizioni, in merito agli oggetti che ci circondano, infinitamente ristrette. Vediamo le cose come ci è consueto vederle ed ignoriamo del tutto quale sia la loro natura assoluta. Altri esseri dotati di sensi più acuti, più vasti o qualitativamente diversi, potrebbero non soltanto vedere in modo diverso, ma vedere oltre, tra le stesse orbite vuote della Morte, dove prendono corpo risposte cui non è lecito attingere. Aprire squarci di conoscenza, zone del crepuscolo dell'umano sapere, che ne facciano balenare anche solo dei contorni parziali, significa turbare l'infinito ed esporre quindi la mente umana a veri e propri uragani d'angoscia. Solo un Virgilio che osa oltre l'Eden puo' cogliere le risposte senza nome dell'abisso ricevendone in cambio solitudini, visioni, dolore, e quindi poesia.Nel Martincigllo non è dunque la malinconia il più legittimo tra i toni poetici, quanto il coraggio. E Nostro, nell'interiorità della sua sil­loge, ne dà ampio sfoggio nell'esternare certe profonde verità, una giu­diziosa instabilità del suo subconscio, un'onestà interiore scevra da arroganza ed egocentrismo, facendosi immaginare ad ogni verso un marinaio senza stelle, cigno esiliato dal lago natale, Icaro precipitato e, ancora, viaggiatore senza lanterna: il sentiero dell'artista per sempre sarà colmo di tormento, proprio per la sua stessa natura immortale, ma proprio per questo è l'unico capace di costruire un monumento più allo delle piramidi e più duraturo del bronzo (Orazio), è questa la sintesi del Martinciglio poeta, colui che rompe i ceppi del mistero per farne armì durante l'angosciosa pugna che porta alla Verità. Il temerario accetta la sfida (qui particolarmente intesa come "fato") e tenterà l'impresa di andare contro le regole de La fossa comune della societa', riconoscersi e riconoscere quindi il proprio ruolo nella vita.E poeta non può essere codardo proprio per definizione e natura, altrimenti non gli resterebbe altro che nascondere il talento in una buca e schivare così il mortai pericolo di un'Aquila mandata dallo spirito della Nemesi, privandosi tuttavia di un posto nei Campi Elisi, di un'eternità... e quindi dell'anima. Si intuisce negli ultimi versi di Adesso sei mia Sposa, il richiamo alla scena conclusiva del Paradise Lost ... . la mano nella mano, per la pianura dell'Eden a passi lenti ed incerti presero il loro cammino solitario) è eloquente, il lettore partecipa alla scena in cui il protagonista (il Martinciglio?) si allontana con la sua donna verso lidi di cui sconosciamo loco: E il nostro tempo che arrivato,/ il mio passo segui mia bella Artemide,/ cerchiamo invano il Dio che ci ha coniato. E possibile, anche se leggermente riduttivo, circoscrivere a tali versi la poetica dell'opera nei confronti della donna e dell'Amore, sorta di manifesto alla stregua del Dite a Laura che l'amo del Petrarca. Il ricercato simbolismo del poeta, ha qui uno più felici momenti di enfasi letteraria, e rappresenta una sorta di epitaffio dai mille risvolti psicologici - artisticì. Artemide, che rappresentava la luce lunare, era notoriamente casta, il Martinciglio non cerca quindi nella donna alcun mero desiderio fisico, quanto quello spirituale, completare così la propria persona grazie alla "dolce metà" che deve tuttavia possedere un'impronta della perfezione celeste, la Sua ricerca sarà tuttavia vana, il poeta, rinnegato dal dio vendicatore per la sua ribellione, resterà recluso nel proprio Pandemonium. Leggendo l'opera del Martinciglio, è facile richiamare alla mente i grandi personaggi rinnegati della letteratura: Prometeo, Lucifero, il Faust di Marlowe; tutti personaggi che hanno sacrificato la propria anima agli altari pagani del sapere assoluto, ricevendo rinnegamento e dannazione. Ma l'artista altro non può fare, per lui è inevitabile rimanere soggiogato dal fascino della propria sfida, un sogno malato ed etereo come lo sguardo ipnotizzante di un cobra in procinto di mordere, chi ne cade vittima precipita verso l'abisso con la stessa gioia di uno sposo alla prima notte di nozze, processo di catabasi, discesa negli inferi dove 5 incontrano mostri e pallidi orrori, colpe segrete, arcane paure, vergogne inconfessabili: è la Storia, questa volta regina di nefandezze taciute, ad esserne testimonia, ed in particolare la Chiesa, carnefice nel corso dei secoli, assassina millantatrice, rea di soggiogate l'uomo comune alla superstizione urlata al rogo di martiri, di "streghe" ed adoratori del Diavolo. Contro la Chiesa il poeta scrive le sue più gravi invettive come Frizzo al Prete, Ai piedi della Croce, è il chierico ad essere colpevole, sorta di peccato originale che nessun battesimo può cancellare, lettera scarlatta dove la "A" sta ad indicare "Assassino".Per il Martinciglio, che sembra così spremere dalle cicute più velenose la Verità, dunque doppia è la missione: eroica e dannata, infernale e divina, figlia chissà se del Cielo o dell'Abisso; doppio è l'Amore, serenità e supplizio; doppia è la morte, dell'Oblio come nepente angelico e terrore del nulla. Da ciò scaturisce l'unica costante del concetto poetico dell'artista: la plurivalenza, la conflittualità interna, l'ambiguità. E poeta stesso è un'entità plurima: cavaliere e furfante, eroe e villain, ingannatore e sincero, benefattore dell'umane genti ed al con­tempo uomo colpevole che deve essere scacciato.

Sergio Campofiorito


Critica All'autore

La sua poesia può inscriversi nella corrente della comunicazione post­moderna, nella misura in cui tenta di costruirsi un impianto che, sebbene compiaciuto e criptico, si rifà apertamente ai modelli letterari dei Poeti Maledetti del Simbolismo europeo. Evocazione e indignazione sono, dunque, le leve complementari su cui cerca di fare perno archimedeo questo costrutto poetico, a tratti ardito e macchinoso, ma spesso alato e suggestivo.

Giacomo Bonagiuso
Janua Inferi
L’opera che segna la maturità del Martinciglio e che, tuttavia, non dona ancora ai Lettori la sicurezza dell’approdo, di un appiglio sicuro dove riposare le membra di un’anima inserita a caso e malvolentieri nel vorticoso giro della vita. Il turbine è l’essenza stessa del poeta, del suo pensiero tradotto in versi, che implica un continuo domandarsi, un incessante stravolgimento degli eventi, un eterno divenire col viso sempre rivolto verso mete oscure ed angosciose, mete senza stella polare dove l’unica via di fuga è rappresentata da ignoranza e vili credenze, panacee per l’uomo comune, non per l’artista nella propria faticosa, e dannata, ricerca della Verità. Non dev’esserci pace nel Lettore, se non quella dell’oblio, non c’è ragione che possa indurre a rasserenante quiete, tutto dev’essere scrutato e messo in discussione, la realtà che vivono le genti è soltanto un sogno generato dal demonio che ha mille sfaccettature, mille inganni, mille illusioni. L’uomo stolto, cieco di fronte a falsi ideali religiosi, si trova con mano d’estasi di fronte alla porta dei cieli, ma, aprendola, cadrà verso gli angosciosi abissi del nulla assoluto, un inganno a cui è facile abbandonarsi, ma, come canto di sirena, conduce soltanto verso irti scogli, verso la porta degli inferi celata dietro cascate di fuoco. La bivalenza viene data da Giano stesso, mitologica divinità che presiedeva ai ponti, ai passaggi ed alle porte. La contrapposizione, già resa mirabilmente nella prima opera del Martinciglio, diventa in questa silloge strumento non di dissennatezza, ma di avvertimento, chi ha il coraggio di scorgere il pericolo, l’orrore del nulla adombrato dietro ad ogni verso, allora potrà andare vicino a scorgere la Verità e, se la propria mente troverà la temerarietà di sopportarlo, non ci sarà nessuna sorpresa quando la sua mano aprirà la porta, un benevolo nepente angelico donato solo ai pochi coraggiosi. Contrapposto a loro c’è l’omunculus, non l’essere inventato del medico svizzero Paracelo secondo formule alchemiche, bensì, è questa la realtà più atroce, l’uomo comune che vive e governa il nostro pianeta. La sua fine è presto detta nella poesia “Al di sopra dell’Abete”.
In quest’opera torna prepotente l’invettiva del Martinciglio contro la chiesa, specchietto per allodole con le sue immense e decadute cattedrali, tante lapidi sparse in malo modo nel cimitero della storia, ma pur sempre pesanti come macigni sull’umano destino. Il verso si fa ancora più grave, quasi di scherno e profano, la tonaca diventa senza mezzi termini un sipario dietro al quale nascondere vergogna e peccato, come il depravato al parco. Un enorme drappo che avvinghia gli occhi dei fedeli, li raggira come fece il serpente tentatore, ma è pur sempre inganno piacevole, ipnotico come lo sguardo del rettile. La contrapposizione tra fede e illusione viene resa in un batter di lettere, per accentuare ancor di più l’effetto catastrofico a scapito di chi si lascia soggiogare, come l’assetato che, una volta arrivato all’agognata fonte, scopre che è arida come la verità che adesso ha appreso. L’Ormudz, il principio della luce secondo la mitologia siriana, diventa improvvisamente Ahrimah, il principio delle tenebre, il poeta qui usa il punto esclamativo per acclamare il giusto, per destare lo stolto dalle proprie pie illusioni, un atto di altruismo portato al popolo che malcela il gusto di fronteggiare, con coscienziosa perizia, il mondo delle tenebre perché nulla vi è da fare, è il vero mondo, l’unico possibile nel multiuniverso creato dal demone distruttore. E’ il poeta a farsene carico, a portare voce e coscienza tra i popoli, un essere inteso non come salvatore, bensì un’entità peccatrice, colma di velenosi vizi e turbati misfatti, ma proprio per questo l’unica capace a riconoscere e discernere il bene dal male. Il poeta diventa figura eroica e romantica, si fa carico della salvezza, ma non salvifica, proprio perché è l’unico in grado di sopportarla, scogliera indomita sulla quale si abbattono i venti del vaso di Pandora per razionalizzarli ed esporli agli uomini per ammonirli, per stracciare loro dagli occhi il malsano drappo.

Sergio Campofiorito



Critica All'autore


Negli intermezzi del nulla
Mio Dio, perché non esisti? G. Caproni

Un universo gotico, nero, privo di luce, infernale nel senso di “indotto”, infero, anche se per nulla primitivo, ma anzi concettoso, pullulante di stilemi, immagini e, purtroppo, anche dei conseguenti aggettivi; una foresta di simboli che parlano meglio e, soprattutto, pienamente all’esperto di esoterismo, ma che – di tanto in tanto – solleticano anche l’interesse del lettore essoterico (o, se preferite: normale). Alla fine, per fortuna, questo universo è decisamente ateo. Se “Janua inferi” è un mondo “sicuros adversus deos”, senza un Dio Padre, con un Cristo scritto volutamente in minuscolo (forse un po’ pochino per sbarazzarsi di lui, no?), con un San Giovanni sbranato (decapitato era troppo poco?), allo stesso modo, non c’è un satanasso cui chinare la fronte e appecoronarsi. Il mondo di “Janua inferi” appare privo di un Dio maligno in carica anche quando, al cuore del verso, è proprio l’oscuro angelo decaduto (o quello che diavolo è!) ad essere protagonista. Ma è interesse archeologico, simile a quello che un robivecchi potrebbe nutrire per un vecchio orologio a cucù. A volte l’interesse è genuinamente poetico – anche se le cose più belle, a nostro avviso, Martinciglio le scrive quando lascia andare liberamente l’emozione di vivere e per un po’ si scorda di Artaud, di Nietzsche, del poeta vate, e delle corna dure di Belzebù – e, comunque, il tessuto narrativo che ne deriva non adora, non ama, non teme, non fa culto. è questo il dato poeticamente più forte: questa pregnante idea di nulla che incide le parole e scolpisce nel margine le poesie. Un nulla serio. Complesso. Sofferto. Indagato “a parte inferi” piuttosto che “a parte dei”. A volte soffocato da troppe parole e, quindi, vanificato. A volte emergente in modo lucido e pregnante. C’è da sperare per il futuro che aumentino i varchi di questo nulla, gli “intermezzi” (sereni o non) che dovrebbero essere, a rigore, delle “cose tra”, ma che sono davvero molto belli anche senza alcun “tra”. Quanto a razionalizzare le potenze infernali e a schernire i poveri uomini inferiori, come anche i satanassi, i diavoloni e le code biforcute, un po’ di gusto resta. Archeologico. Con tutta la sua filosofia, certo, quanto meno eccentrica.

Giacomo Bonagiuso

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bion Giorno!! Ciao!!

Patricia Gordillo Serrano ha detto...

Stimati Salvino Martinciglio:

Vi invito affettuosamente a visitare il mio foglio o pagina in Internet dove troveranno i miei romanza e le mie poesie

Penso che per me possa essere molto importante leggere e lasciare il loro pensiero o interpretazioni sulle stessi poesie.

Volentieri


Patricia Gordillo

Córdoba - Argentina

www.patriciagordillo.com.ar




Mie poesie all' Italiano:


STRADE

I COLORI

INNALZA L’ANIMA

LASCIANDO QUELLA TERRA LONTANA

PROFONDITÀ